Ieri sera, giovedì 14 aprile, consiglio comunale. Ciò che segue è accaduto davvero.
L'antefatto
A Besana il sindaco Gatti è in difficoltà, da mesi: la lega ha fatto pressione per avere una poltrona nel consiglio di amministrazione della casa di riposo Scola di Brugora. È arrivata, addirittura, a boicottare i consigli comunali, paralizzando l'amministrazione del comune. Il coraggio di combattere per ciò in cui si crede è cifra dell'onore di un uomo, soprattutto dove ciò comporta sacrifici.
Un consiglio in malafede
Il sindaco, dunque, è costretto a cedere, garantendo lo scoglimento del consiglio di amministrazione della casa di riposo. Non solo, ringrazia anche la lega per l'attento lavoro di revisione delle nomine, che ha permesso che emergeressero le anomalie burocratiche.
Per spiegare l'ovvio: il sindaco ha ceduto al ricatto, lo ha ammesso pubblicamente ed ha pure ringraziato. Se è sì sgradevole evidenziare la debolezza altrui, lo ritengo necessario per spiegare ciò che segue.
La lega, mano ferma e sangue freddo, pretende dettagli: Quando? Quanto? Preme lo stivale sul petto dell'avversario a terra. L'empatia verso il prossimo è un sentimento antico, primitivo, incontrollabile: mi ritrovo a provare pena per il sindaco, a volerlo difendere. Non c'è ragione che giustifichi tanto abbietta umiliazione.
Si apre il dibattito, tocca all'opposizione. Alle osservazioni politiche del caso, cioè sulla tenuta dell'amministrazione e susseguente (im)possibilità di governare, segue l'improvvida rivelazione delle proposte avanzate, segretamente, dal sindaco all'opposizione nei giorni più bui del suo mandato, quando temeva la definitiva defezione dei ranghi leghisti. S'infiamma di sdegno l'ala pidiellina, che sì gravi calunnie mai s'erano udite. Il prezzo richiesto dall'orgoglio, nelle parole dei più, non è mai troppo alto, se non si deve pagarlo: e così, dicono, se le accuse fossero vere, sarebbero state dimissioni. "Pinocchio!", sento urlare dietro di me.
L'ardimento
Il tafferuglio prosegue, nello sconcerto generale. Gli animi si infervorano, tanto che un virulento vicesindaco dichiara, dato che lo accusano di parlare senza che gli sia stato concesso, "io la parola me la prendo!". Il fulgido ardimento del virile vicesindaco mi rammenta all'istante di gloriosi giorni, quando la lassitudine borghese, che da sempre si fa scudo con norme infondate (io me ne frego!), svanì nell'alba gloriosa della gioventù italiana. Il momento catartico è, ahimé, rovinato dall'esplosione di indecorose, sguaiate urla da stadio - "buffone! buffone!" - in cui, mio malgrado, mi faccio trascinare, non comprendendo quanto suonino inopportune in sì grave circostanza. La delusione maggiore arriva però dal gagliardo vicesindaco. Pur volendo difendere, con sprezzo del pericolo, la patria dal cancro bolscevico (intento lodevole!), inciampa nei modi e l'azione necessaria si fà solo istigazione "vieni a dirmelo fuori, buffone".
Abbandono l'aula, frastornato, scoraggiato. Un senso di alienazione profondo da tutto e da tutti.
Jacopo Margutti
L'antefatto
A Besana il sindaco Gatti è in difficoltà, da mesi: la lega ha fatto pressione per avere una poltrona nel consiglio di amministrazione della casa di riposo Scola di Brugora. È arrivata, addirittura, a boicottare i consigli comunali, paralizzando l'amministrazione del comune. Il coraggio di combattere per ciò in cui si crede è cifra dell'onore di un uomo, soprattutto dove ciò comporta sacrifici.
Un consiglio in malafede
Il sindaco, dunque, è costretto a cedere, garantendo lo scoglimento del consiglio di amministrazione della casa di riposo. Non solo, ringrazia anche la lega per l'attento lavoro di revisione delle nomine, che ha permesso che emergeressero le anomalie burocratiche.
Per spiegare l'ovvio: il sindaco ha ceduto al ricatto, lo ha ammesso pubblicamente ed ha pure ringraziato. Se è sì sgradevole evidenziare la debolezza altrui, lo ritengo necessario per spiegare ciò che segue.
La lega, mano ferma e sangue freddo, pretende dettagli: Quando? Quanto? Preme lo stivale sul petto dell'avversario a terra. L'empatia verso il prossimo è un sentimento antico, primitivo, incontrollabile: mi ritrovo a provare pena per il sindaco, a volerlo difendere. Non c'è ragione che giustifichi tanto abbietta umiliazione.
Si apre il dibattito, tocca all'opposizione. Alle osservazioni politiche del caso, cioè sulla tenuta dell'amministrazione e susseguente (im)possibilità di governare, segue l'improvvida rivelazione delle proposte avanzate, segretamente, dal sindaco all'opposizione nei giorni più bui del suo mandato, quando temeva la definitiva defezione dei ranghi leghisti. S'infiamma di sdegno l'ala pidiellina, che sì gravi calunnie mai s'erano udite. Il prezzo richiesto dall'orgoglio, nelle parole dei più, non è mai troppo alto, se non si deve pagarlo: e così, dicono, se le accuse fossero vere, sarebbero state dimissioni. "Pinocchio!", sento urlare dietro di me.
L'ardimento
Il tafferuglio prosegue, nello sconcerto generale. Gli animi si infervorano, tanto che un virulento vicesindaco dichiara, dato che lo accusano di parlare senza che gli sia stato concesso, "io la parola me la prendo!". Il fulgido ardimento del virile vicesindaco mi rammenta all'istante di gloriosi giorni, quando la lassitudine borghese, che da sempre si fa scudo con norme infondate (io me ne frego!), svanì nell'alba gloriosa della gioventù italiana. Il momento catartico è, ahimé, rovinato dall'esplosione di indecorose, sguaiate urla da stadio - "buffone! buffone!" - in cui, mio malgrado, mi faccio trascinare, non comprendendo quanto suonino inopportune in sì grave circostanza. La delusione maggiore arriva però dal gagliardo vicesindaco. Pur volendo difendere, con sprezzo del pericolo, la patria dal cancro bolscevico (intento lodevole!), inciampa nei modi e l'azione necessaria si fà solo istigazione "vieni a dirmelo fuori, buffone".
Abbandono l'aula, frastornato, scoraggiato. Un senso di alienazione profondo da tutto e da tutti.
Jacopo Margutti